È impossibile concepire l’architettura mediterranea senza l’utilizzo della calce. Bellezza e purezza prendono vita sotto il suo strato bianco. Le case bianche richiamano il Mare Nostrum, il profumo degli agrumi, le barche a vela, le finestre blu, bucati di panni colorati che sventolano al sole come aquiloni, buganvillee che esplodono di colori con la brezza e piangono petali di gioia, bambini scalzi che corrono sulla pietra e sul prato, inseguiti da cani e gatti che scodinzolano e saltano intorno a loro. Solo un paese come il nostro, addentrato per metà nel Mediterraneo, può essere un’opera d’arte così perfetta, un candore, una tela bianca pura e infinita dove dar vita alla cultura e al futuro.
La calce ci ha anche mantenuto lontani dalle epidemie, ci ha tenuto puliti, protetti dal sole e dalle muffe, al sicuro. Lo stucco di calce già dall’Antica Roma ha ricoperto le pareti degli edifici di importanza civile e religiosa. Poi, durante il rinascimento, in particolare a Venezia, si è sviluppato l’arte del rivestimento continuo e della mineralizzazione che si è diffuso poi nei palazzi nobiliari italiani e francesi. L’umile calce è entrata a far parte degli ambienti distinti e, ancora oggi, lo stucco a calce naturale è un elemento chiave per la bioedilizia e le case bioclimatiche. Muri imbiancati mostrano cura e amore per le pietre e per le mani che li hanno edificati. Se prendiamo un muro storto, irregolare o calpestato dal tempo, e lo dipingiamo di bianco, vedremo come immediatamente diventa solenne e vivo. A Matera e nelle masserie pugliesi troviamo il bianco nelle mura, nei trulli e all’interno delle case e, così come accade in Spagna, Tunisia e Grecia, la calce purifica e dona un bianco rappresentativo e caratteristico, marchio di bellezza di un paesaggio che attira il turismo. I nostri campi da golf hanno bisogno di una mano di calce, metaforica e letterale, una nuova anima bianca su cui basare un nuovo standard di turismo internazionale di qualità legato al golf, all’ambiente, al lusso, al made in Italy. La bellezza è lì, tutta da scoprire, una terra che non è perfetta, come non lo è un vecchio muro, ma che splende di maestosità per la sua storia e la sua cultura. L’Italia ha un patrimonio incredibile da sfruttare dal punto di vista del turismo di qualità nei suoi campi da golf e bisogna trovare il modo di farlo conoscere, mostrando all’estero le bellezze che possiamo offrire, oltre ai servizi di eccellenza.
Ogni due anni The R&A in collaborazione con l’EGA (European Golf Association) pubblica il report “European Golf Partecipation” che include tutti i dati sulla partecipazione al golf nei 49 paesi in cui l’associazione nazionale è membro dell’EGA e sotto la giurisdizione di governance di The R&A. I dati, che includono il numero totale di golfisti tesserati e registrati in ciascun paese, suddivisi per sesso, categoria e aree geografiche, vengono raccolti e analizzati statisticamente. Il report permette una visione dell’andamento dell’industria del golf in ogni paese, evidenziando tendenze statistiche in modo di offrire informazione affidabile ai settori coinvolti. Quest’anno, il nuovo report dovrebbe essere pubblicato a breve. Nell’attesa, vorrei riflettere e mettere alla luce alcuni aspetti interessanti dei report precedenti, specialmente su quello dell’anno 2021.
Nel report 2021 appare che tra il 2019 e il 2021 l’Italia ha avuto 3785 tesserati in meno. Un dato triste ma che conferma le difficoltà che il settore attraversa negli ultimi anni a livello di giocatori locali. Con il Covid, purtroppo, non siamo riusciti né a mantenere i tesserati che avevamo né ad attirare dei nuovi. Peggio di noi era andata alla Francia e alla Spagna con 10000 e 35377 tesserati in meno rispettivamente. Un aspetto da non sottovalutare è che la Francia era stata sede della Ryder Cup 2018 e, nonostante gli sforzi realizzati per far conoscere il golf, non è riuscita ad attirare nuovi tesserati. Se andiamo a vedere i numeri di statistiche precedenti, i tesserati italiani sono quasi invariati dal 2007. In quindici anni non siamo riusciti a creare una nuova generazione di giocatori e moltissimi dei campi sono relegati ad essere piccoli e chiusi circoli dove si accomuna per compagnia sociale. Un altro dato che sarà da tenere d’occhio in questo nuovo report sarà la posizione dell’Italia nel ranking di giocatori tesserati appartenenti a campi di 18 buche, cioè, tesserati attivi che giocano e partecipano a gare. Nel report 2021 eravamo al posto 27, con 134 campi da golf a 18 buche, il che ci classifica come un paese dove il golf non è ancora uno sport abbastanza competitivo. Partendo di queste premesse, quel che si osserva nel panorama dei campi italiani corrisponde a due modalità di marketing golf. La prima modalità è quella di cercare di mantenere vivi i campi attraverso l’incremento del numero di soci e tesserati mediante attività che favoriscono l’apertura al pubblico. In questa modalità entrano iniziative come, per esempio, l’organizzazione di piccoli tornei locali e gare aperte con la formula GreenPass golf. La seconda modalità, che richiede molto più investimento e skills, è quella di attirare giocatori stranieri nei campi italiani, offrendo a loro non solo altissimi standard nel campo da golf ma anche servizi collegati al turismo e alla ristorazione.
Come possiamo capire, sono due impostazioni di lavoro antitetiche, dove si gioca o sul ridimensionamento degli standard per un usuario medio e regolare che accetta e può permettersi di meno a livello economico o il futuro di un turismo di qualità con alti profitti. Paesi con meno giocatori locali di noi come Portogallo e Turchia, possiedono campi da golf con altissimi standard di qualità e servizi turistici che attirano giocatori stranieri in tutte le stagioni dell’anno. A questo punto bisognerebbe prendere atto della situazione economica attuale in Italia. Incrementare il numero di soci, cioè, trovare persone disposte a sborsare quote associative di buon livello, si rivela un’impresa quasi impossibile. Motivare, creare e allevare baby giocatori si dimostra difficile, intanto che il golf non sia veramente portato all’interno degli ambienti scolastici in modo di scoprire talenti non solo tra i figli di chi appartiene a un circolo. Il livello dell’usuario medio è decaduto e gli introiti nei campi non bastano per mantenerli e migliorarli in modo di offrire uno standard vendibile al mercato internazionale. Come in Grecia, dove dipingendo interi paesi di bianco si è creato un filone turistico, sarebbe da considerare il creare un filone turistico italiano offrendo campi con servizi che solo possediamo qua, ad esempio offrendo tramite operatori turistici specializzati, oltre a un magnifico course, dei corsi di cucina italiana, visite turistiche alle città d’arte vicine ai campi, passeggiate con cavalli, concerti, degustazioni enogastronomiche e meeting di investimento dove proporre progetti di investimento locali in vino, agroalimentare, tessile, artigianato locale, a turisti facoltosi stranieri interessati nel Made in Italy e nell’import-export.
Dobbiamo anche noi trasformare i nostri muri grigi in bianchi, dove da ogni crepa appaia un bellissimo buganvillee. Il golf è direttamente relazionato al turismo di qualità e abbiamo un vero tesoro nei campi esistenti. Dobbiamo trovare il modo di proporre i nostri campi al turismo internazionale, dipinti di bianco, creando rete locale, coinvolgendo istituti scolastici alberghieri, traduttori, artisti, servizi di logistica, ristoratori, Comuni e musei, agriturismi e associazioni di commercianti locali. I campi da golf possono e devono essere focolai di investimenti internazionali, luoghi di incontro, di cultura e di progettualità. Gli standard manutentivi dei campi devono non soltanto essere sostenibili ma sempre e soprattutto innalzabili perché dalla capacità di attirare clienti stranieri con alti standard dipenderà la loro vita. Dobbiamo essere più presenti nei campi da golf esteri durante le gare più importanti promuovendo pacchetti turistici nei campi italiani. È necessario poter avere fondi da investire nella didattica del golf, sponsorizzando nuovi talenti, coltivando un vivaio di nuovi baby giocatori che, crescendo e partecipando a gare internazionali, portino nuove gare internazionali nei nostri campi. Si dovrebbe incoraggiare l’investimento nel golf indoor e nei campi pratica all’interno delle città per favorire l’interesse e la pratica del golf e permettere alle scuole di istituire percorsi didattici all’interno delle città. Bisogna far evolvere i circoli chiusi dei campi facendoli diventare portali per nuovi investimenti esteri.
Potrebbe essere interessante organizzare gemellaggi tra campi da golf italiani e di altri paesi europei, in modo di organizzare itinerari turistici convenienti a entrambi. Si rivela strategico e fondamentale investire di più sulla promozione turistica dei campi italiani nei grandi eventi sportivi internazionali di tennis, baseball, Nba, formula 1, regate, sci e organizzare incontri con investitori stranieri per dare a loro l’opportunità di investire in Italia. La partecipazione di istituzioni come gli Istituti Italiani di Cultura e Consolati all’estero per la diffusione del turismo legato al golf sarebbe utile e strategica. Sarebbe ottimo poter organizzare una vetrina per la promozione del turismo associato al golf in eventi internazionali come la Settimana della Moda e il Salone del Mobile di Milano e al Salone del Libro di Torino. Si potrebbe mettere informazione e pubblicità con cartelloni negli aeroporti internazionali e nazionali promuovendo i campi da golf italiani. Insomma, le possibilità sono infinite. Siamo noi e i nostri bellissimi campi da golf, ad avere un grande potere, ad essere una grande opportunità di investimento e di guadagno, non siamo la parte debole. Non basterà una mano di bianco e affidarci alla calce ma sarebbe un inizio.