Wyndham Clark ha vinto il US Open 2023, il suo primo Major title. Nelle sue interviste dopo aver vinto, Clark ha dedicato la vincita a sua madre, scomparsa alcuni anni fa. La perdita della madre è un evento traumatico per tutti, l’inizio di un cammino in solitario, la perdita di un punto di riferimento, l’essere invasi da un senso di abbandono e di mancanza che non passa mai. La vita, come il golf, è un’esperienza profonda che viviamo per forza in prima persona e in solitario, inseguendo una destinazione, ostinandoci a proseguire, rincorrendo un obiettivo. Lo stato di grazia e di lucidità che ci trasmette il focalizzare la nostra attenzione per un attimo, ci permette di vedere la natura delle cose nella realtà, avere la sensazione di poter controllare la nostra vita. Come un surfista che cavalca l’onda invece di cercare di fermarla, affrontiamo i problemi nella vita e sul campo, adattandoci agli elementi, controllando soltanto noi stessi. La vita di tutti noi fuori dal campo è piena di alti bassi, di famiglia, di lavoro, di persone che vanno e vengono, di successi e di fallimenti. E poi sta il golf.
Non si scorda mai la prima volta che si addentra nel campo armati soltanto da bastoni e una palla in tasca. Come mai suscita in noi fascinazione il fatto di colpire una palla con un bastone e farla entrare in una piccola buca? Come mai inseguiamo la magia di vederla volare e scorrere fino ad arrivare a casa, sprofondando nella terra? C’è qualcosa di magico nella volontà che viene trasmessa alla palla attraverso il bastone, un attimo di vita che le permette di essere consenziente, consapevole e viva, diventare un prolungamento di noi stessi che vola e svanisce mentre sembra un amo che si sommerge nel blu del cielo per poi perdersi nell’abisso verde. Quell’attimo di attesa, di concentrazione meditativa, ci toglie il fiato mentre siamo complici della sua fuga verso il suo destino. Un istante dopo esplodono in noi le emozioni e si vivono frustrazioni oppure momenti di estasi memorabili. Sia quale sia il risultato, siamo già pronti a dare il colpo successivo per arrivare alla buca perché lo spirito del golf ci impulsa a non mollare mai.
È per questo mix di emozioni che il golf crea dipendenza, diventa uno stile di vita, un appuntamento immancabile con noi stessi, un metterci alla prova, uno stato zen. Possiamo capire i pastori che già citati nel 1457 nelle cronache di Giacomo II di Scozia, si trattenevano nei campi di pastorizia colpendo con i loro bastoni le palle verso le buche di roccia vicino alla scogliera. Uomini che trovavano nella natura non solo lavoro e sostento ma anche divertimento e attese, un’interpretazione della propria esistenza. Lo zen può sembrare un concetto soltanto orientale, invece nasce da un profondo luogo nell’anima dell’uomo, un luogo che ci riporta nella quiete materna, in attesa, dove non eravamo ancora noi ma parte di una madre che era il nostro universo, il nostro respiro, la nostra casa e anche la nostra tomba. Nascere e morire sono come un cerchio che si chiude, passaggi che dobbiamo affrontare tutti, come la palla che attraversa il campo e trova la buca, il suo luogo nel mondo, sua madre.
Lo zen ci insegna a vivere nel presente, senza avere fretta, percorrere il nostro camino come la palla che va verso la buca. Sul campo da golf la quotidianità diventa avventura invece di noia e il vento smuove l’erba mentre sussurra nomi che avevamo dimenticato tra profumo di erba bagnata. Lo zen è uno stato dello spirito, una forma mentis che ci porta al nostro vero io, qui e ora, distaccandoci da tutti. In giapponese, un simbolo sacro del buddhismo zen è la parola Ensō, che significa “cerchio” e simboleggia l’illuminazione, la forza, l’universo (Calligrafia giapponese di Kanjuro Shibata XX, da Wikipedia, in foto). Attraverso l’intuizione raggiungiamo risultati inaspettati, lampi di energia che trasmettiamo alla palla ad ogni colpo, una carezza all’universo.
Con questi pensieri ci troviamo Clark che insegue un ricordo con ogni colpo, un pensiero materno e dolce, un istante di felicità. Ognuno di noi si è avvicinato a questo sport per una motivazione più profonda che un semplice passatempo. Chi per trovare un respiro dalle responsabilità ingombranti, chi per trovare amici e fare progetti, chi attratto da uno stile di vita e da un gioco di precisione, chi per essere da solo con i propri pensieri in mezzo a un campo. Camminare sul mare di erba verde, tornando a noi stessi e ai nostri cari in terra e cielo, diventa un istante di grazia, un momento zen che vale più dell’oro come una carezza di nostra madre. C’è un bel Haiku (breve poema giapponese) scritto da Kobayashi Issa (1763 – 1828) che parla della primavera, di un passero orfano e che ci ricorda quanto sia preziosa una madre. L’Haiku dice: “vieni da me, andiamo a giocare, piccolo passero orfano” (ware to kite asobeya oya no nai suzume). Sul campo prima o poi siamo tutti orfani ma con ogni colpo ritroviamo noi stessi. Andiamo a giocare!