C’era una volta un ragazzo che, sulla spiaggia della natia Marina de Cudeyo in Spagna, si divertiva a colpire la palla con una mazza da golf, ferro tre, omaggio dei suoi fratelli e un fascio di sogni di gloria ben piantato nella mente e nel cuore. Il suo nome era Severiano, che sarebbe poi divenuto per tutti gli appassionati un più confidenziale Seve, il suo cognome Ballesteros. E da quella spiaggia avrebbe poi spiccato il volo verso il golf professionistico divenendone una delle stelle più luminose (qualcuno dice la più luminosa in assoluto) di tutti i tempi. Seve prometteva bene sin da allora, in autostima, talento e voglia di emergere. La formazione tecnica avrebbe poi fatto il resto contribuendo a farne un pilastro del golf mondiale da lui dominato per diversi anni. La sua vita si interruppe a soli 54 anni, ma il suo ricordo è certamente ben lungo dall’eclissarsi.
Come ci si può dimenticare di questo ragazzo di centoottantatre centimetri di altezza e 84 chilogrammi di peso che, nella sua carriera, vinse tra gli altri tre British Open nel 1979,84 e 88, due Masters nel 1980 e 1983 e fu bronzo agli Us Open del 1987? Già, perché il talento golfistico placcato oro di Seve varcò ben presto i confini del vecchio continente, giungendo anche a colonizzare gli States. Cosa che era facilmente pronosticabile, se si considera che entrò nel novero dei professionisti all’età di 16 anni, praticamente da enfant prodige. Due anni dopo il suo approdo nei professionals, Seve da Marina di Cudeyo fece capire all’universo mondo che il golf era la sua vita e che non scherzava affatto. Anno 1976, ecco il primo segno della sua carriera luminosa con il secondo posto al British Open. Per sei volte sarà in cima alla lista dell’European Order of Merit. Nel 1980 lo si vedrà in cima a un Masters come primo europeo ad avere “profanato” lo strapotere americano. E in bacheca ha potuto infilare tra gli altri cinque World Match Play Championship, venti vittorie su 37 in Ryder Cup contro gli Stati Uniti. Tutto questo gli varrà il meritato riconoscimento nella World Hall of Fame dove il suo nome brilla accanto a miti del golf yankee come Jack Nicklaus e Arnold Palmer. In tutto accumulerà 49 vittorie sul circuito europeo, la prima al Dutch Open del 1976, l’ultima al Peugeot Spanish Open del 1995. In mezzo, tra le altre, ben sei vittorie colte nel solo 1986 a Dunhill British Masters, Carroll’s Irish Open, Johnnie Walker Montecarlo Open, Peugeot Open de France, Klm Dutch Open e Lancome Trophy. Nel circuito PGA salì invece sul trono per ben nove volte, l’alfa fu il Greater Greensboro Open nel 1978, l’omega l’Open Championship nel 1985. Ballesteros lasciò il segno anche nel circuito giapponese con cinque affermazioni nei due estremi compresi tra Japan Open del 1977 e The Crowns del 1991, in sette tornei a squadre tra i quali la Ryder Cup vinta nelle edizioni 1979, 83, 85, 87, 89,91,93,95 e 1997, in quest’ultimo caso da capitano non giocatore e in altri tornei come il Kenya Open del 1978 e l’Australian Pga Championship nel 1981. Insomma, una leggenda in un corpo da golfista che la prematura morte avvenuta nel 2011 per le conseguenze di un tumore al cervello non ha affatto spento ma ha anzi ulteriormente alimentato.
Più forte di tutto, anche dei problemi alla schiena che, a un certo punto della sua carriera, lo avevano costretto a ridimensionare il numero dei tornei a cui partecipare. Per la sua classe e la sua indiscutibile capacità di accarezzare la palla facendola andare esattamente dove voleva, fu soprannominato il Picasso del golf con pennellate leggere in grado di dipingere quadri dai colori vivaci in ogni parte del mondo. La sua vita si è fatta anche cinema grazie al film “Seve, la forza dei sogni”. Una sua frase è emblematica del modo che aveva di intendere il golf come continuo percorso di crescita: “niente- amava dire – si ottiene senza sforzo, e le cose, senza sforzarti di ottenerle, né le apprezzi né le valorizzi”. Si respirava, nel suo modo di concepire il golf, anche un’aria permanente di realismo e possibilità da giocarsi: “non puoi vincere tutto – disse un tempo – ma puoi provarci”. E, quasi presentendo che la sua vita non si sarebbe protratta purtroppo a lungo, affermò in un’occasione: “quando tutto sarà finito dirò che alcune cose le ho fatte bene, altre male e altre nella media, ma che ci ho provato e ho dato tutto quello che avevo”. E, ai golfisti di tutto il mondo che accarezzano il sogno di ripercorrere la sua strada, ha sempre detto: “siamo ciò in cui crediamo”. Il tutto ricordandosi sempre di essere “un ragazzo che ha seguito la sua voce interiore e non ha aspettato gli elogi né si è lasciato abbattere dalle critiche”.
Lee Trevino parlò di lui come del “golfista dotato di maggiore talento tra tutti noi”. E Arnold Palmer ebbe ad affermare che “Seve è indiscutibilmente il golfista con le maggiori doti naturali, ha saputo sferrare colpi che molti golfisti si possono soltanto sognare”. A oggi esiste anche un trofeo , il “Seve Ballesteros” che porta il suo nome. Grande rivale, ma anche grande estimatore di Ballesteros era l’orso d’oro Jack Nicklaus: “ho perso un grande campione e un grande amico – affermò a pochi giorni dal funerale – ho sempre avuto un immenso rispetto per il suo talento, la sua genialità, il suo modo di giocare, sono state la sua creatività e fantasia a sancirne la popolarità”. Tiger Woods, che gli strappò il record di vincitore più giovane del Masters nel 1997, ricorda di essersi ispirato a lui aggiungendo che “la sua creatività e intensità sul campo da golf potrebbero non essere mai superate”. Nick Faldo disse apertamente di essere “un suo fan”. E il suo compagno di tante avventure sui campi Manuel Pinero afferma senza mezzi termini che “non è possibile capire il golf senza Severiano Ballesteros”. Apprezzato a fondo nell’ambito golfistico, Ballesteros seppe conquistare anche il cuore degli appassionati e degli assi di altre discipline. Il ciclista Pedro Delgado lo ha ricordato come “un grande difensore dello sport”, l’ex calciatore e attuale allenatore Pep Guardiola lo descrisse come “un pioniere, prima del quale il golf era uno sport minoritario”. Il Wall Street Journal lo ha ricordato come colui che “ha rivitalizzato il golf europeo con passione e talento”. Ballesteros ha quindi abbandonato la storia che trascorre ma si è fatto impronta eterna di un golf capace di intrecciare doti naturali, passione, voglia di apprendere continuamente e di farlo divertendosi, seguendo la propria vocazione oltre ogni difficoltà. Un mito che resta memoria. E una memoria che resta lezione.