Intervista esclusiva a Silvio Grappasonni. “Il golf è una gara contro te stesso”

Abbiamo fatto due chiacchiere con Silvio Grappasonni, la voce del golf in Italia. Gli abbiamo chiesto quali sono state le sue sfide più grandi, come è cambiato il modo di giocare da ieri ad oggi e cosa può portare un evento così grande come la Ryder Cup in Italia a tutto il movimento golfistico italiano.

Buongiorno Silvio, la prima domanda che voglio farle è come è avvenuta la transizione da giocatore di golf a telecronista? Quali sono state le sfide più grandi che ha affrontato lungo il percorso?

“La transizione è stata quasi casuale, stavo facendo tutt’altro, avevo intrapreso la carriera da allenatore come fanno quasi tutti gli ex giocatori. Collaboravo con la Federazione Italiana, con gli Under 21 tra cui c’erano Francesco ed Edoardo Molinari, era uno squadrone. In quel periodo un mio amico, Ugo Buffa, lavorava per Stream, e mi chiamò quasi per scherzo, dicendomi che avevano comprato i diritti televisivi del golf ma non sapevano come gestirli perchè ne sapevano poco e mi disse vieni a fare una prova. Feci questa prova insieme ad Andrea Girelli, grandissimo giornalista, e dopo una  settimana eravamo in diretta a commentare gli eventi. Qualche anno dopo Stream venne comprata da Sky e li la cosa divenne sempre più seria fino a fare le telecronache con il mitico Mario Camicia. In poco tempo siamo diventati “la coppia di Sky” perchè Mario, grandissimo conoscitore di golf italiano e mondiale, era quello “pop” io quello “tecnico”, quindi le due voci si completavano a vicenda. Le sfide più grandi invece sono state quelle di aver avuto l’opportunità di commentare grandi eventi, abbiamo fatto diverse Ryder Cup, abbiamo avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro di Tiger Woods, di Francesco ed Edoardo Molinari, che in quegli anni andavano fortissimo e di conseguenza trascinavano il pubblico, quindi avevano anche la responsabilità di far vivere e coinvolgere quell’evento”.

Qual è stato il momento più emozionante o gratificante della sua carriera da giocatore di golf? 

“Diciamo che sono stato un buon giocatore ma non ho mai fatto il grande salto. Durante la mia carriera ci sono stati bei momenti, sicuramente quello di aver fatto più di 230 tornei sul Tour Europeo è stata una soddisfazione, il mio limite forse è stato quello di essere troppo regolare, non sono andato mai ne troppo in alto ne troppo in basso. E’ stato comunque un decennio bellissimo, ho avuto la fortuna di giocare con Costantino Rocca, diverse volte in Coppa del Mondo, in un torneo dove rappresentavi l’Italia, e di vincere diverse gare in Italia, ma un golfista deve aspirare a vincere qualcosa in giro per il mondo”.

Essendo un appassionato di golf, cosa pensa che renda questo sport così unico ed emozionante? C’è un aspetto specifico del golf che lo affascina particolarmente?

“Il golf è una gara contro te stesso, sei padrone del tuo destino, non hai scuse, ci sono i numeri, c’è un punteggio, non puoi sbagliare. Questo è il bello ma forse anche il brutto di questo sport, è un pò come una metafora della vita, quando inizi un giro puoi essere in forma o meno ma non saprai mai cosa ti aspetta, ci saranno sempre degli alti e dei bassi. Il livello mentale in questi casi è fondamentale, non è facile restare concentrati per 5-6 ore, poi ci sono 3-4 situazioni che devi gestire ad ogni giro, situazioni in cui spesso sei in difficoltà e che se riesci a superare fai la differenza”. 

Come ha visto l’evoluzione del golf nel corso degli anni? Quali sono i cambiamenti più significativi che ha notato?

“Quello che è cambiato tantissimo nel corso degli anni è la bravura dei tecnici che abbiamo in Italia, o meglio, sono sempre stati bravi, ma prima non c’erano tutti questi tornei e montepremi, quindi per forza di cose dovevi fare il maestro e il giocatore. Intorno agli anni ’90 poi sono iniziate a nascere le figure dei giocatori totali che facevano solo le gare, come Costantino Rocca e Baldovino Dassù e di conseguenza, parallelamente ai giocatori, sono cresciuti anche i maestri. In Italia abbiamo dei tecnici veramente bravi, il settore agonistico è fortissimo, e nonostante abbiamo un numero di tesserati relativamente basso rispetto alle altre Nazioni, a livello giovanile siamo campioni del mondo, ci sono 3 ragazzi italiani che hanno battuto gli Stati Uniti, ma anche in campo femminile siamo forti, abbiamo diverse ragazze tra le prime 50 al mondo e molti tecnici ci chiedono come fate a vincere così tanto con un numero cosi basso di giocatori? Questo la dice lunga”.

Cosa pensa della Ryder Cup a Roma e crede che possa essere di slancio a livello nazionale?

“Questa è una bella domanda, lo spero, ma credo che oltre alla Ryder debbano esser fatte altre cose. Sicuramente è un evento mondiale, sono stati già venduti tutti i biglietti, sarà uno spettacolo unico, è una grandissima opportunità per tutto il movimento golfistico italiano. Poi a differenza di altre gare la Ryder Cup è più semplice da seguire, si sono solo due squadre, si fa il tifo, l’ideale sarebbe che un italiano riuscisse a partecipare. Al momento è dura, solo Molinari e Migliozzi potrebbero esserci, questi tre mesi saranno decisivi”.

Cosa pensa dei nostri giocatori italiani? Chi potrebbe essere il giocatore del futuro?

“Come dicevo prima abbiamo degli ottimi giocatori in Italia, Pavan, Migliozzi e Matteo Manassero che domenica scorsa ha vinto il Challenge Tour a Copenhagen in rimonta con un -6 nell’ultimo giro. Tornare a vincere un gara dopo aver attraversato un periodo così lungo di crisi è straordinario. Matteo è un ragazzo speciale, è un giocatore unico, non voglio fare il paragone con Tiger Woods ma la risurrezione è quasi uguale, perchè nonostante i 10 anni di crisi ha sempre lavorato duramente per tornare a vincere e finalmente ci è riuscito. Adesso però non vorrei che gli rimettessero pressione, perchè nello sport in generale non è così”.

Quali consigli darebbe a un giovane golfista che desidera fare carriera nel mondo del golf?

“Di andare in campo pratica molto presto perchè se arrivi alle 8 c’è già un koreano o un indiano che è li da due ore. A parte la battuta, credo che l’allenamento e la costanza siano la prima cosa, ma oggi anche la gestione fuori da campo è diventata fondamentale, la scelta dell’allenatore, del preparatore, del mental-coach, quella di fare determinate gare piuttosto che altre. In questo è stato maestro Francesco Molinari che non ha sbagliato un colpo nelle scelte fuori dal campo. Noi purtroppo ricordiamo solo gli ultimi due anni che sono stati non bellissimi ma va ricordato che è un professionista dal 2005, e fino al 2019 era tra i giocatori più forti del mondo”

Cristiano Peconi

Direttore di Golf-Magazine, appassionato di golf da pochi anni, ma è come se lo fossi da sempre. Giocare a golf è una lezione di vita!